Por Gordiano Lupi/Toscana Today.
Ho tradotto quasi tutta l’opera poetica di Zoé Valdés, dalle rime giovanili de La gana sagradae la prima raccolta consapevole Respuestas para vivir, fino a Tradurre la notte (dal francese, insieme all’amico Patrizio Avella), passando per Todo para una sombra e Breve beso de la espera.
Sono un suo lettore assiduo di narrativa, dai tempi in cui Frassinelli e Giunti la pubblicavano in Italia (fine anni Novanta); mi sono innamorato di Cafè nostalgia, Te dí la vida entera e La nada cotidiana, romanzi che raccontavano tutte le contraddizioni di una Cuba post rivoluzionaria.
Zoé Valdés è una scrittrice cubana che ha saputo rappresentare il dolore dell’esule e la tristezza dell’abbandono di una patria con gli strumenti della letteratura, traducendolo in poesia. Anatomia de la mirada comincia da José Martí e Juana Borrero, veri simboli poetici, perché (proprio come lei) si sono misurati fino alle estreme conseguenze con amicizia, amore e passione, esperimentando il tradimento, l’abbandono, persino l’esilio.
La poesia fluisce languida sul filo del rimpianto per un paese perduto, soffusa di amarezza per una terra dove arrestano i poeti, per un mare lontano, irraggiungibile, per le strade d’una città che sono vive – proprio come il ricordo della madre – soltanto nel sogno. I versi passano da Parigi, con i caffè all’aperto e i locali dove non si incontrano più le persone d’un tempo, al pensiero della sua Avana perduta, luogo dell’anima dove libertà significa sogno, citando Kavafis, ricordando un Malecón illuminato dalle fioche luci della sera e da una luna malinconica…
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